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Di non solo sesso ha paura l'uomo: c'è anche la morte.

  • Immagine del redattore: redazione-koverart
    redazione-koverart
  • 12 nov 2022
  • Tempo di lettura: 3 min

Titolo volutamente provocatorio, collegandoci ad un argomento affrontato qualche articolo fa (per chi volesse riprendere il discorso dell'inizio: https://www.gooseart.info/post/il-piacere-nobilita-l-uomo-arte-erotismo-società in riferimento al fatto che l'essere umano, nonostante i "progressi" fatti, sembra perpetrare una sorta di paura della propria libera espressione.

Diciamocelo, l'uomo ha terrore della libertà ma non lo vuole ammettere e per questa ragione si accanisce verso coloro che cercano di viverla o di rappresentarla. È una storia vecchia almeno quanto il mondo. Con questo articolo vogliamo aggiungere carne al fuoco, o benzina sul fuoco. A voi la scelta dell'espressione più gradita. Dunque: la morte credo sia un tabù potente almeno quanto il sesso, forse di più. La morte è qualcosa di inevitabile, molto democraticamente si abbatte su tutti prima o poi. Forse per il suo carattere di ineluttabilità, e per il mistero che cela dentro e dietro di sé, viene in qualche modo rimossa dall'elenco degli argomenti da rappresentare o di cui parlare.

Così viene percepita dalla "morale" comune, ma l'arte si sa, non di rado si fa beffe della sensibilità popolare e cerca di andare oltre, di aprire porte che molti vorrebbero chiuse per sempre. Da secoli l'arte entra dentro la morte, e non smette mai di scandalizzare. Non importa quale sia il livello culturale che si presume sia stato raggiunto, la morte è ancora qualcosa che fa paura (forse oggi più del passato?) e le rappresentazioni artistiche ci fanno da specchio.

Fece scandalo il magnifico Caravaggio "Davide e Golia" (in tutte le versioni 1599, 1607 e 1610) con quella testa staccata dal corpo, così vera. Così morta.

Più di 100 anni prima ci si scandalizzava (e commuoveva) di fronte al Cristo Morto del Mantegna (datato tra il 1470 e il 1483), così pallido, così morto, anche lui. E tra questi due capolavori scorrono fiumi di opere, dipinti, sculture, sguardi spenti, corpi. Freddi e immobili sono i soggetti di tanta arte che parte dell'umana sensibilità vorrebbe coprire per non vedere, non importa se magnificamente rappresentati da geni dell'arte di ogni epoca.

Ci sono cose che non vorremmo vedere, e l'arte ce le mostra. E noi cosa facciamo? guardiamo?

Noi abitanti dell'era contemporanea, o come molti dicono "post-contemporanea", noi che siamo così "avanti", riusciamo a guardare la morte in faccia? L'ormai datata opera di Antoine Wiertz "L’inumation precipitée" (1854) è oggi facilmente fruibile?

Una cosa è certa, il dialogo continua, come un rito che si ripete all'infinito: l'arte mostra la morte, e chi guarda deve farci i conti (e li dovrebbe fare anche se non guardasse). Il "gioco" funziona anche senza cadaveri, si pensi a “Little electric chair” (1963) di Andy Warhol la cui carica evocativa è un'onda che si abbatte sul sorriso di tutti.

Per quanto ci si possa atteggiare a persone dall'interesse squisitamente artistico, difficile non sentire un nodo in gola di fronte alle immagini di Desiree Dolron, ai suoi ritratti fotografici (fortemente post-prodotti raggiungendo effetti pittorici) di giovani vite finite, nel vero senso del termine. Il pallore abbonda sui corpi senza vita delle sue esili figure.


Un articolo monografico su arte e morte potrebbe occuparmi tutta la vita! Ci basti questa carrellata a farci riflettere sulla permanenza di qualcosa di antico che ci sovrasta e ci supera. Dinamiche eterne come il rapporto vita-morte che tentano di manifestarsi nello spazio dell’arte, creando sovente scossoni trasformativi, forse evolutivi.


Sicuramente di coscienza evoluta era l’autore di queste parole antiche ma ancora per molti inarrivabili, me compresa: “Il male, dunque, che più ci spaventa, la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c’è lei, e quando c’è lei non ci siamo più noi”: Lettera sulla felicità a Meneceo, III sec. a.C.


Ordunque apriamo gli occhi, alziamo lo sguardo e ammiriamo l'arte che racconta questo fenomeno a cui tutti partecipiamo. Prima o poi.


Miriam Fusconi

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