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Cosa vuole da noi il volto di Van Gogh?

  • Immagine del redattore: redazione-koverart
    redazione-koverart
  • 9 ago 2022
  • Tempo di lettura: 2 min

La National Galleries of Scotland ha comunicato la scoperta di un autoritratto di Vincent Van Gogh dietro ad un altro dipinto. Il volto del "genio-artista" è sbucato dal retro di "Testa di contadina", una delle tre opere di Van Gogh di proprietà del museo.

Non è una novità che "vecchi" dipinti riemergano da strati di colore, colle e altro materiale artistico, anche dopo tanti anni, ma la notizia del volto di Van Gogh riapparso in questi giorni, si è aperta un varco nella mia immaginazione.


Ho pensato a questo volto da "beccaio" (per dirla alla Antonin Artaud) che ritorna alla luce, apparendo dal "sotto" di un altro suo quadro. L'ho immaginato come un volto che riemerge da acque torbide, quando nessuno se lo aspetta, quasi a volerci ricordare qualcosa, ad interrogarci su antiche questioni aperte. Quelle che una società si porta dentro da sempre, che riguardano la sua parte indifferente, cieca, marcia, quella che più di tutte visse Van Gogh nella sua tormentata esistenza.


"Come un’inondazione di corvi neri nelle fibre del suo albero interno la società suicidò Van Gogh" scrive Artaud nel suo libro "Van Gogh il suicidato della società". Pagine e pagine in cui l'attore-scrittore spiega in modo magnetico come il grande artista non fu tanto vittima del proprio delirio ma del delirio di un'intera società.


"Van Gogh poteva trovare l'infinito se la coscienza bestiale della massa non avesse voluto appropriarsene" scrive Artaud. Un cercatore d'infinito dunque, un grande artista la cui grandezza venne accolta solo dopo, quando non poteva più disturbare, orfana del suo scomodo e imbarazzante autore.

Probabilmente continua ad essere così, la luce che emerge da chi cerca di esplorare le tenebre, viene fagocitata da una massa annoiata. Assetata di novità si prende la luce e ignora le tenebre da cui proviene, come se non la riguardassero.


Un'arte, quella di Van Gogh, e di altri grandi del passato, che è sempre stata frutto di un'enorme sofferenza: "Nessuno ha mai scritto, dipinto, scolpito, modellato, costruito o inventato se non, di fatto, per uscire dall'inferno": arte come ancora di salvezza, porto a cui aggrapparsi. Eppure, da quella tempesta-inferno non se ne esce quasi mai, pare invece inasprirsi in un isolamento inevitabile.


E solo "dopo", tutto è calmo e gli altri si possono godere il frutto del genio. Ma il volto di Van Gogh è rispuntato: cosa vuole?


Esistono oggi, uomini o donne che vivono al buio sperimentando rivoluzioni della conoscenza? Artisti che in silenzio, isolati dal mondo (che poi, forse, li applaudirà) riscrivono la storia?


Forse sì, altri "suicidati della società", come fu Van Gogh e come fu Artaud, le cui parole per molti sono solo il delirio di un folle. Eppure mai fu cosa più impossibile che archiviare come folli queste parole:

"un pazzo è anche un uomo che la società non ha voluto ascoltare e a cui ha voluto impedire di pronunciare delle insostenibili verità". Insostenibili verità che il volto di Van Gogh ci ripropone riemergendo dalla sua stessa materia pittorica, a ricordarci che la vera arte è soprattutto interrogazione.


Miriam Fusconi


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