Arte: eterno gioco di immanenza e trascendenza.
- redazione-koverart
- 22 dic 2022
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 7 mar
"Sono i guardatori che fanno il quadro" (Duchamp 1994), in un certo senso è proprio così. Esiste un'opera d'arte di qualsiasi tipo, ed esiste un fruitore, colui che osserva.

Di fronte alla stessa espressione artistica esistono in realtà migliaia di versioni della stessa, tante quante sono le percezioni di chi assiste. È il mondo infinito della trascendenza, ciò che impalpabilmente va oltre l'immanenza dell'arte, ciò che insitamente la compone.
Si potrebbe azzardare la frase “popolare”: "Non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace". Ma qui non si tratta solo di "piacere", si tratta di entrare dentro ad un insieme complesso di dinamiche che l'arte innesca. Impossibile esaurire questo ambito in un articolo e forse sarebbe impossibile farlo anche con una trattazione di migliaia di pagine, per il carattere “infinito” della materia di cui si parla. Ma da sempre l’uomo tenta l’impossibile e si scaglia nell’infinito con l’utopica ambizione di conquistarne, o di comprendere, almeno un pezzo. E quindi eccoci qui, ad entrate dentro il mondo potente ed evanescente di ciò che l’arte emana. Sebbene spesso bistrattata o non considerata quanto meriterebbe, l'arte rimane ufficialmente uno dei capisaldi dell'essere umano. È di certo una delle funzioni che ci differenzia dal mondo animale. L'esercizio della creatività, il dare espressione visiva/percettiva ad un'idea, ad un sogno o alla propria visione del mondo, è tipicamente umano. Riguarda la benedetta o dannata caratteristica di essere creatore di ciò che non necessariamente serve all'esistenza in senso stretto.
L'arte (così come altri frutti dell'ingegno) è figlia di quel qualcosa in più che l'uomo da sempre cerca, interroga, crea, tenta di capire. Da un'esigenza e da un'intenzione nasce l'opera d'arte e in quel momento nascono i "guardatori" per dirla alla Duchamp. Nel momento in cui viene esposta al pubblico, l'oggetto artistico (o azione) inizia ad agire sulle persone, a livello individuale e collettivo.

Ogni persona filtra ciò che vede con la propria sensibilità, il proprio livello intellettuale e educativo. L'opera entra letteralmente in una griglia interpretativa che cambia da persona a persona. È la sua trascendenza, è come una sua seconda esistenza che è mille, centomila volte ciò che era inizialmente.
Ma c'è di più, perché l'osservatore nella maggioranza delle volte vedrà la stessa opera diversa in momenti differenti della sua vita e così l'arte si rinnova continuamente, in modo infinito in ognuno di noi.
Non si stupisce di questa cosa l'artista, che ha dentro di sé mille variazioni dell'opera fin dal primo istante in cui l'ha pensata. Con enorme sforzo (o sollievo) mettendo in atto una serie infinita di scelte e azioni, arriva all'unica versione tangibile, all'unico oggetto possibile in quella forma di esistenza. Ma il suo autore sa bene che quella cosa che lui ha partorito ha mille e centomila vite.
Immanenza e trascendenza sono i due aspetti dell'arte su cui si dibatte da decenni: in cosa consiste propriamente un’opera d’arte? Come può trascendere i confini del suo essere oggettuale? E come cambiano la sua immanenza e la sua trascendenza in opere di diverso "tipo", dall'oggetto unico all'opera riprodotta in più copie, dalla performance musicale a quella corporea? Sono domande storiche e allo stesso tempo eterne (particolarmente attuali se si pensa all’arte digitale e a cosa implica). A tal proposito ricordo il testo "Immanenza e Trascendenza" di Gérard Genette, che affronta queste tematiche in modo rigoroso e suggestivo allo stesso tempo. Egli apre inoltre l’interessante capitolo della differenza tra l’”effetto estetico” che esercita un artefatto artistico e un oggetto già di per sé esistente, come un elemento naturale. Che tipo di differenza percettiva innescano? Nuovi abissi di senso e di significato si aprono sotto i nostri piedi e dentro le nostre teste. Siamo dentro a quello che Genette definisce la "relazione estetica" tra l'oggetto e l'osservatore, una relazione che si rinnova continuamente grazie ad un virtuoso (o vizioso) cortocircuito: la percezione soggettiva e il nuovo oggetto che ne deriva. Sotto una nuova luce esso è altro ed innesca nuovamente una nuova reazione. Cortocircuito dopo cortocircuito, tutto evolve e si trasforma come in una spirale che - mi si conceda il paragone azzardato - ricorda molto il dna umano: vita.
E qui mi fermo, lasciandovi al vostro personale viaggio "estetico-mentale".
Miriam Fusconi
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