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Arte e realtà: un tempo che ritorna!

  • Immagine del redattore: redazione-koverart
    redazione-koverart
  • 18 ott 2022
  • Tempo di lettura: 3 min

C'è stato un tempo in cui l'arte inseguiva il futuro, in cui faceva sforzi immani per staccarsi dalla superficie della tela dipinta, in cui bramava di diventare vera, sempre più somigliante al reale.

Dall'arte medievale, piena di fasti e di misteri, prende forma, lungo i secoli quella che sarà la modernità.

Durante il rinascimento (che inizia nel XV secolo) l'arte gradualmente si stacca dagli ambiti prettamente religiosi, le figure iniziano a mettere su peso, spessore, il paesaggio diventa sempre più vero, con le ombre al loro posto.


Le figure pittoriche e scultoree si fanno letteralmente carne. E' tutto un correre dentro e dietro ad un'arte che risponde al motto del fruitore sbalordito: "sembra vera"! Tutto il 600 e 700 è un affollarsi virtuoso di artisti che illustrano tutto l'illustrabile: guerre, carestie, naufragi, re e regine, popoli e paesaggi, ricchezza e povertà, amore e morte.


L'arte si fa vita sempre di più, gli artisti bramano la perfezione di una somiglianza che non potrà mai essere totale tra rappresentazione e rappresentato.

Ad un certo punto dell'Ottocento gli artisti decidono di entrare dentro la materia che compone il reale. Prendono una lente d'ingrandimento e si tuffano dentro la luce, le gocce d'acqua, i grumi di colore, è il momento del poetico e tanto amato impressionismo. Impressionante!


Ancora oggi il pubblico si divide tra i tifosi di Monet, Manet, Renoir, Degas, coloro che vollero entrare nella luce cercando l'effetto perfetto. E senza forse volerlo sfaldarono quella realtà che tanto volevano meticolosamente illustrare.

A livello collettivo quasi inconsciamente si è attivato un percorso inverso, una strada che guarda al passato, non solo come luogo in cui non tornare... anzi. S'interrompe infatti la tensione verso l'arte come specchio della realtà a livello di resa esteriore.


Arriva l'espressionismo (all'inizio del Novecento) e la forma letteralmente si sfascia, questa volta volontariamente. Le pennellate sono sferzate arrabbiate e lo sguardo è soprattutto sull'interiorità, spesso cupa e violenta. Nello stesso periodo il Futurismo elogia esplicitamente la corsa del progresso a massima velocità. Si sa, la velocità è nemica della forma.


Siamo definitivamente fuori dal desiderio di un’arte che racconti ciò che gli occhi vedono. Tutto è già stato raccontato, ora bisogna puntare l'occhio di bue altrove, al non detto, al non visibile, a ciò che è dentro.

La forma, e il modo per omaggiarla, è già stata conquistata, gli artisti non sentono più il bisogno di frequentarla. E paradossalmente rinasce l'amore per la superficie, per il bidimensionale, alla maniera medievale!

Chi lo avrebbe mai detto che dopo secoli di evoluzione artistica si arrivasse ai "manifesti pubblicitari" di Roy Lichtenstein? Le sue opere, tra le più celebri della Pop Art (anni '50 e 60') non hanno spessore, né ombre. Tutto è piatto e colorato, come sotto la luce al neon di una modernità da cartone animato.


Si acquieta l'impeto espressionista degli anni Venti e nell'arte del secondo dopoguerra la provocazione artistica si fa critica al presente, strizzando l'occhio al passato. Come dimenticare la "Venere degli stracci" di Michelangelo Pistoletto (1967) in cui accosta una statua in stile classico ad un mucchio di stracci? Armonia del passato versus caos del presente. Decennio dopo decennio, fagocitando di tutto, dall’arte concettuale, alla body e land-art, dalla street-art all’arte digitale, oggi non è ancora possibile dire che la forma e la materia siano sparite. Esistono ancora nelle migliaia di espressioni artistiche che vengono ogni giorno percorse. Sono elementi di un vocabolario che si è arricchito, come fosse il frutto di una forsennata ricerca della chiave per capire il senso di tutto. Non importa da quale punto del tempo provenga un certo elemento artistico, viene usato a seconda dello scopo, dell’intenzione dell’artista in quel momento.

Il tempo dell'arte è un tempo che ritorna. Si muove lungo una linea ma simultaneamente è come se aprisse dentro di sé una voragine in cui gli elementi cronologici si mescolano.

L'arte cita il passato, lo critica, lo dissacra, lo ringrazia, lo dimentica, lo ricorda. L'arte guarda al futuro, lo brama, lo teme, lo confronta col presente, tenendo sempre la coda dell'occhio sul passato.

Il tempo non è una linea, è una galassia le cui costellazioni sono sempre in formazione.


Miriam Fusconi

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